La sorveglianza dei lavoratori non è certo un fenomeno nuovo: ne parlava anche Marx, descrivendo l’organizzazione gerarchica del lavoro e la struttura stessa dell’ambiente della fabbrica come strettamente funzionali all’esercizio, da parte del capitalista, del proprio potere di controllo sulla forza lavoro. Tuttavia, le esigenze legate alle caratteristiche delle nuove forme di lavoro e le sofisticate tecnologie che possono oggi essere impiegate per il controllo dei lavoratori sollevano problematiche attualissime, in particolare sotto il profilo del bilanciamento del diritto del datore di lavoro di esercitare il suo potere direttivo, di controllo e disciplinare sui lavoratori, con il diritto alla riservatezza e alla dignità del lavoratore: vediamole insieme.
Ti segnaliamo anche il nuovo video di dirittodellinformatica.it che tratta proprio di questa tematica:
I poteri di controllo e sorveglianza del datore di lavoro
Caratteristica fondamentale dei rapporti di lavoro subordinato è il potere direttivo del datore di lavoro. Tale fondamentale elemento viene richiamato dall’articolo 2094 del Codice civile, che definisce il prestatore di lavoro subordinato (cioè il lavoratore) proprio come colui che presta «il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
Strettamente correlato al potere direttivo, nonché strumentale all’esercizio dell’altrettanto importante potere disciplinare del datore di lavoro, consistente nella facoltà di applicare sanzioni disciplinari nel caso di violazioni, da parte del lavoratore, dei propri doveri contrattuali (art. 2106 cc) è il potere di vigilanza e di controllo. Si tratta, in parole povere, del potere di adottare le azioni necessarie a verificare che il lavoratore svolga l’attività lavorativa secondo le direttive impartitegli.
A questo proposito è fondamentale notare che la rapida trasformazione che continua ad investire le modalità di lavoro, ormai sempre più legate all’uso di strumenti tecnici e tecnologici (basti pensare al c.d. smart working di cui abbiamo già parlato qui), ha favorito la nascita di sistemi di controllo potenzialmente sempre più pervasivi ed insidiosi.
Quali sono i limiti di sorveglianza sui lavoratori?
Lo Statuto dei Lavoratori si preoccupa, nel Titolo I, significativamente rubricato “Della libertà e della dignità del lavoratore”, di porre dei limiti all’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro, attraverso la previsione di specifici divieti.
Prima di addentrarci nell’analisi di cosa è consentito e cosa è invece vietato dalla legge, bisogna preliminarmente notare che dalle disposizioni dello Statuto dei lavoratori è possibile evincere una sorta di categorizzazione dei poteri di controllo del datore: possiamo distinguere i controlli volti alla tutela del patrimonio aziendale, i controlli a distanza, i controlli finalizzati ad accertare l’idoneità fisica e lo stato di malattia dei lavoratori e, infine, (il divieto di) indagini sulle opinioni del lavoratore.
Il divieto di indagini sulle opinioni e libertà di pensiero
In primo luogo, è bene chiarire che lo Statuto dei Lavoratori vieta in ogni caso, già dal momento dell’assunzione e per tutta la durata del rapporto di lavoro di «di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore».
Tale divieto è sancito dall’articolo 8, disposizione che, non a caso, è stata definita da varie voci in dottrina come “l’atto di nascita in Italia della protezione dei dati personali” e che, in un certo modo, completa il dettato dell’articolo 1 dello Statuto, che garantisce il diritto dei lavoratori di manifestare liberamente il proprio pensiero, anche nei luoghi di esecuzione della prestazione.
Sorveglianza a distanza, a quali condizioni?
Di particolare interesse e attualità è poi la disciplina degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti di controllo c.d. a distanza, dettata dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori e riscritta qualche anno fa dal Jobs Act (D.Lgs. 151/2015), in quanto pensata per normare il contesto tecnologico degli anni ’60-’70, era ormai divenuta obsoleta.
L’articolo 4, nella sua “vecchia” configurazione, vietava «l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori», a meno che l’uso di tali impianti fosse determinato da esigenze di esigenze organizzative e produttive o di garanzia della sicurezza del lavoro. L’installazione di tali apparecchi era comunque subordinata alla soddisfazione di determinate condizioni la cui necessità permane ancora oggi e che vedremo nel dettaglio tra poco.
Quanto alla disciplina vigente, vigono oggi regole diverse in base alla finalità dello strumento potenzialmente deputato al controllo:
- in primo luogo, nonostante la novella del 2015 abbia eliminato dal testo normativo i riferimenti espressi in tal senso, si evince dalla ratio della norma la permanenza del divieto di utilizzo di apparecchiature finalizzate esclusivamente alla sorveglianza del lavoratore nell’esecuzione della prestazione;
- qualora invece gli strumenti siano finalizzati al perseguimento di scopi legittimi (che sono quelli che abbiamo già citato, ai quali si aggiunge la tutela del patrimonio aziendale), ma dal loro impiego possa comunque derivare il controllo dei lavoratori, la loro installazione/il loro uso è subordinato alla stipulazione di un accordo dalle rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria. Qualora l’accordo non sia stato raggiungo o nel caso in cui non siano presenti in azienda delle rappresentanze sindacali, è comunque possibile rivolgersi alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del lavoro per richiedere l’autorizzazione all’installazione;
- infine, il comma II dell’articolo 4 specifica che tali restrizioni «non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la propria prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze». Il che significa che, anche se dall’impiego di tali strumenti possa derivare il controllo del lavoratore, il loro uso è lecito e non necessita di alcuna autorizzazione preventiva.
La necessaria informazione del lavoratore
Mentre il primo divieto non presenta particolari problemi dal punto di vista interpretativo o applicativo, la disciplina delle apparecchiature che consentono i cosiddetti controlli “preterintenzionali” richiede maggiori cautele, in quanto potrebbe prestarsi a manipolazioni. La delicatezza della questione appare evidente soprattutto se ti tiene a mente che le informazioni raccolte attraverso tali strumenti possono essere utilizzate a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, quindi anche al fine dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro.
Tuttavia, l’utilizzabilità delle informazioni raccolte è subordinata alla necessità di dare al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti di effettuazione dei controlli: di conseguenza, come precisato dal Ministero del Lavoro nella nota del 18 maggio 2015, qualora il lavoratore non sia stato adeguatamente informato, i dati raccolti non potranno essere utilizzati per alcun fine, neppure disciplinare.
L’importante ruolo della normativa sulla privacy
L’articolo 4 richiama espressamente la necessità del rispetto delle norme dettate dal Codice della Privacy (nonché dal Regolamento generale sulla protezione dei dati personali del 2016, di cui abbiamo approfonditamente parlato qui). In particolare, viene richiamata la necessità di rispettare tutti quei principi che devono informare ogni altro trattamento di dati personali.
Il riferimento è, tra gli altri, ai principi di necessità, correttezza, liceità, trasparenza, minimizzazione, esattezza e qualità dei dati: così, la disciplina in materia di riservatezza rappresenta un ulteriore importante argine al rischio di un utilizzo pervasivo degli strumenti di controllo sul luogo di lavoro. Quindi, ad esempio, oltre ad essere trasparente, il controllo dovrà essere anche tale da ridurre al minimo l’accesso ai dati del lavoratore, raccogliendo solo le informazioni strettamente necessarie nel caso concreto.
Il datore di lavoro può leggere le email dei dipendenti?
Non solo la normativa, ma anche il Garante per la protezione dei dati personali, che è l’autorità amministrativa indipendente preposta all’attuazione della normativa in tema di protezione dei dati personali, ha avuto e continua ad avere un ruolo chiave nella definizione dei limiti e delle regole che governano i controlli degli strumenti a disposizione dei lavoratori.
Un esempio di particolare interesse è quello della posta elettronica del dipendente. L’e-mail ben può essere uno strumento di lavoro, e anzi, oggi, quasi sempre lo è, con tutto ciò che il nuovo dettato dell’articolo 4 dello Statuto ne fa discendere; allo stesso tempo, non può non venire alla mente il dettato dell’articolo 15 della Costituzione, che sancisce la libertà e la segretezza della corrispondenza.
In proposito, il Garante ha adottato una serie di Linee guida per la posta elettronica e per internet e ha comunque in più occasioni chiarito che sono vietate le verifiche indiscriminate della posta elettronica, ovvero quelle azioni che possono risultare nel «controllo massivo, prolungato e indiscriminato dell’attività del lavoratore», in quanto «il datore di lavoro, pur avendo la facoltà di verificare l´esatto adempimento della prestazione lavorativa ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte dei dipendenti, deve in ogni caso salvaguardarne la libertà e la dignità» (Garante privacy, provv. n. 547 del 22 dicembre 2016).
Sistemi di localizzazione (GPS) per sorvegliare i dipendenti
In conclusione, vale la pena affrontare un ultimo punto di particolare attualità, ovvero quello della geolocalizzazione dei veicoli aziendali. Si tratta di sistemi di monitoraggio dei veicoli che difficilmente sono essenziali allo svolgimento della prestazione, e che, pur essendo spesso funzionali al soddisfacimento di esigenze di tipo organizzativo o funzionali al mantenimento della sicurezza, non possono essere ricompresi tra gli strumenti necessari all’esecuzione della prestazione.
Ne consegue che, affinché il loro impiego possa considerarsi lecito, è necessario il previo accordo con le RSA/RSU, o l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, dello Statuto nonché il rilascio della preventiva informativa sul connesso trattamento dei dati personali al dipendente.
Non si deve dimenticare, infine, che il trattamento dei dati raccolti tramite GPS, come tutti i dati idonei ad identificare una determinata persona fisica, ricade nell’ambito di applicazione del Codice della Privacy e del GDPR e si deve conformare alle loro disposizioni.
Nell’affrontare attività delicate e che necessitano di particolari cautele, come quella di cui abbiamo parlato in questo articolo, è sempre bene affidarsi a dei professionisti. Ti segnaliamo il nostro Studio Partner FCLEX, che nella persona dell’Avvocato Giuseppe Croari da anni si occupa di problematiche giuslavoristiche e protezione dei dati personali, accompagnando personale e aziende della risoluzione dei problemi che spesso sorgono nell’esecuzione del rapporto di lavoro.