Il diritto di cronaca, inteso quale diritto del giornalista a informare, cui corrisponde l’interesse del cittadino ad essere informato, è, come noto, una peculiare espressione della libertà di manifestazione del pensiero, costituzionalmente tutelata dall’art. 21 della Costituzione. L’esercizio di tale diritto, tuttavia, è suscettibile di entrare frequentemente in frizione con altri diritti della personalità, anch’essi dotati di copertura costituzionale ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione.
Un bilanciamento di tali interessi contrapposti dev’essere operato non solo laddove l’esercizio di attività giornalistica sia suscettibile di arrecare discredito all’altrui diritto all’onore e alla reputazione (integrando astrattamente la fattispecie della diffamazione), ma anche laddove esso si sostanzi nella diffusione di dati personali altrui senza il consenso dell’interessato (profilandosi, in tali casi, ipotetiche violazioni del diritto alla riservatezza dell’individuo).
La delicatezza della materia appare ancor più evidente nei casi di propalazione sul web di contenuti informativi potenzialmente lesivi, trattandosi di una modalità di comunicazione suscettibile di raggiungere un numero indeterminato di persone.
La Corte di Cassazione si espressa di recente in materia, riprendendo un orientamento ormai consolidato e affermando che il giornalista, nell’esercizio del diritto di cronaca, può diffondere anche sul web dati personali anche senza il consenso dell’interessato, purché rispetti, oltre ai requisiti della verità dei dati, della continenza della forma espressiva in cui essi sono riportati e dell’interesse pubblico alla loro diffusione, anche il limite dell’essenzialità dell’informazione (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2017, n. 13151).
Prima di analizzare il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, è opportuno esaminare le diverse fattispecie che vengono in rilievo in simili situazioni.
La diffamazione sul web
In considerazione della pletora indeterminata di destinatari cui si rivolge l’informazione sul web, secondo un orientamento consolidato la diffamazione a mezzo internet è equiparata alla diffamazione a mezzo stampa sotto il profilo delle potenzialità lesive e, dunque, dell’aggravante di cui all’art. 595, comma 3, c.p.
Come per la diffamazione a mezzo stampa, anche per quella effettuata tramite internet si applica l’esimente del diritto di cronaca sicché, quando vengono rispettati determinati requisiti, una condotta astrattamente diffamatoria non è punibile se è espressione del diritto di cronaca.
Secondo l’ormai costante orientamento della giurisprudenza, consolidatosi a partire dalla sentenza della Cassazione Civile, 18.10.1984, n. 5259, c.d. “decalogo del giornalista”, il diritto di cronaca è legittimamente esercitato nel momento in cui vengono rispettati, congiuntamente, i seguenti tre presupposti: la verità, anche solo putativa, dei fatti narrati; la continenza e correttezza della forma espositiva impiegata, che deve essere proporzionata alla rilevanza dei fatti narrati; l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti esposti. In presenza di siffatti requisiti, la divulgazione di notizie di cronaca costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca e, conseguentemente, esime il giornalista da responsabilità.
Diritto di cronaca sul web e diritto alla riservatezza
La diffusione di contenuti informativi sul web è suscettibile, altresì, di ledere il diritto alla riservatezza dell’individuo, laddove avvenga in difetto del consenso dell’interessato.
La normativa di riferimento è rappresentata dal D.lgs. 196/2003 (Codice della privacy), che detta specifiche e severe sanzioni laddove si violi l’altrui diritto alla riservatezza effettuando un trattamento illecito di dati personali.
Quanto alle modalità di trattamento dei dati personali, l’art. 23 del Codice Privacy sancisce il principio generale secondo il quale il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato.
Il consenso dovrà, comunque, avere forma scritta quando il trattamento riguarda dati sensibili. Con specifico riferimento a tale tipologia di dati, l’art. 26 del Codice Privacy prevede che “i dati sensibili possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante, nell’osservanza dei presupposti e dei limiti stabiliti dal presente codice, nonché dalla legge e dai regolamenti”.
In caso di violazione dei suddetti articoli, il Codice della Privacy punisce chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, proceda al trattamento di dati personali, tra l’altro, in assenza del consenso dell’interessato, laddove dal fatto derivi nocumento o laddove il fatto consista nell’illecita comunicazione o diffusione di dati personali (art. 167, D. Lgs. 196/2003).
Per verificare se sussista un trattamento illecito di dati, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 137 del Codice Privacy, il trattamento dei dati personali realizzato nell’esercizio dell’attività giornalistica non soggiace al requisito del consenso dell’interessato (né, in ipotesi di diffusione di dati sensibili, alla previa autorizzazione da parte del Garante, ex art. 26 D.Lgs. 196/2003), purché siano rispettati i limiti generali all’esercizio legittimo del diritto di cronaca e, in particolare, il requisito dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico (artt. 137, co. 3, e art. 2 Codice Privacy).
Il caso
Il caso analizzato dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2017, n. 13151) riguarda una conversazione telefonica intercorsa tra l’allora Comandante del Vigili del Fuoco di un capoluogo piemontese e un Consigliere comunale, nel corso della quale il primo chiedeva se fosse possibile nominare quale ispettore della locale Unione Distrettuale dei Vigili del Fuoco una persona appartenente alla stessa area politica dell’interlocutore.
Tale telefonata, automaticamente registrata per ragioni di servizio poiché effettuata dall’ufficio del Comando dei Vigili del Fuoco, veniva riprodotta da terzi e fatta pervenire a diverse testate giornalistiche. In particolare, nel giudizio promosso dal Comandante dei Vigili e sfociato nella sentenza di appello sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, si censurava la pubblicazione di parte del testo letterale della suddetta telefonata, nonché la pubblicazione di altri articoli che mettevano in risalto la vicenda e, comunque, la pubblicazione sul sito internet del giornale del file audio della telefonata completa, reso così accessibile a chiunque con download gratuito.
Nel giudizio promosso nei confronti dell’editore, del Direttore Responsabile della testata e del relativo sito internet, si lamentava l’asserita portata diffamatoria delle suddette pubblicazioni e, comunque, la lesione del diritto alla riservatezza a fronte della diffusione, attraverso la pubblicazione del colloquio telefonico, di dati personali, anche sensibili, con conseguente lesione dei diritti della personalità (immagine, onore, reputazione) e della vita familiare, professionale e di relazione.
La Corte di appello aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta, escludendo la sussistenza del reato di diffamazione dal momento che risultavano rispettati i requisiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca ed affermava la legittimità della raccolta e della diffusione dei dati personali contenuti nella registrazione telefonica, in considerazione del particolare interesse pubblico della notizia, sia pure in ambito locale.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto avverso tale decisione, ha ribadito un orientamento ormai consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, affermando che, laddove viene in rilievo una ipotesi di violazione del diritto alla riservatezza, il diritto di cronaca è esercitabile entro limiti più stringenti di quelli generalmente validi per la tutela del diritto alla reputazione, sicché, oltre ai requisiti della verità dei dati, della continenza della forma espressiva e dell’interesse pubblico della notizia, si richiede il rispetto del limite dell’essenzialità dell’informazione rispetto a fatti di interesse pubblico. Su tali premesse, la Suprema Corte ha osservato che la Corte territoriale aveva correttamente operato il bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco, attenendosi ai suddetti criteri e tenendo conto in particolare dell’essenzialità, ai fini dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, della diffusione dei dati personali ricavabili dalla telefonata.
Avv. Giulia Caruso