Spesso ci si chiede se sia possibile registrare determinate conversazioni telefoniche, in che modo queste registrazioni possano eventualmente essere utilizzate come prova in un processo e se si rischi d’incorrere in qualche sanzione per eventuali utilizzi impropri.
Le risposte a questo tipo di quesiti sono state offerte dall’ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione che, in più occasioni (es. sent. 7239/1999), ha affermato come registrare, anche in modo occulto, colloqui o telefonate sia del tutto lecito, purchè il soggetto che registra sia parte attiva di questi e non un soggetto terzo (in caso contrario si parlerebbe di intercettazioni e non di registrazioni).
Tuttavia, queste riproduzioni non possono essere utilizzate in modo indiscriminato: l’utilizzo improprio delle stesse, se fino ad oggi avrebbe potuto integrare la violazione di alcune disposizioni del Codice della Privacy (es. art. 167 sul trattamento illecito di dati) e del Codice Penale (es. art. 615-bis sul reato d’interferenze illecite nella vita privata), potrebbe portare, in caso di approvazione da parte della Camera del disegno di legge sulla riforma del processo penale, all’integrazione di una specifica fattispecie di reato.
In questo articolo analizzerò questo nuovo tipo di reato, ma, per facilitare la comprensione della materia andrò inizialmente a descrivere la differenza tra intercettazioni e registrazioni (e tra le loro rispettive discipline), per poi analizzare le previsioni del Disegno di Legge (n. 2067).
Registrazioni e intercettazioni
Come accennato in precedenza, l’elemento che differenzia le intercettazioni dalle registrazioni è rappresentato dalla presenza attiva o meno del soggetto che registra all’interno della conversazione: parleremo di registrazione se questa è compiuta da uno degli interlocutori e di intercettazione, di converso, quando è un soggetto terzo a registrare.
E’ bene tenere a mente questa distinzione, perché le due ipotesi sono regolamentate in modo completamente diverso.
In caso d’intercettazione, infatti, il codice di procedura penale prevede un’accurata disciplina (artt. 266-271) che limita sia questo tipo d’attività sia l’utilizzo dei risultati così ottenuti all’interno del procedimento penale.
È, ad esempio, necessaria l’autorizzazione del giudice per effettuare l’intercettazione; bisogna che i soggetti che comunicano tra di loro debbano farlo in modo tale da escludere terzi (non, quindi, in un comizio o ad alta voce in luoghi pubblici); sono necessari strumenti tecnici di percezione della conversazione ed un’ulteriore serie di requisiti indicati dal Codice di Procedura Penale, in mancanza dei quali le risultanze saranno inutilizzabili come prove. Addirittura, non rispettando le specifiche procedure prevista dal Codice si possono integrare i reati previsti all’art. 167 del Codice Privacy e 615-bis del Codice Penale citati in precedenza.
Completamente diversa risulta, invece, la disciplina delle registrazioni, perché, a parere della Corte di Cassazione, la registrazione di una conversazione effettuata da parte di un soggetto che partecipa attivamente a quest’ultima rappresenta una semplice documentazione di ciò che l’udito ha captato (sent. 19158/2015): ciò che è stato detto entra a far parte del patrimonio conoscitivo di ogni partecipante e ognuno può disporvi.
La registrazione è dunque equiparata ad un normale documento e ciò è conforme sia a quanto previsto dall’art. 234 c.p.p. (che qualifica come documento ogni rappresentazione di “fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”: sarà documento anche un nastro contenente una conversazione), sia alle previsioni del Codice della Privacy, il cui articolo 13 (al comma 5) consente l’utilizzo di ciò che viene registrato occultamente per difendersi in giudizio (dunque le registrazioni saranno utilizzabili come prove in un processo).
Vista la differenza e la possibilità di utilizzare in modo più agevole in giudizio le risultanze di una registrazione, è da condividere la ratio di una recente sentenza della Suprema Corte (14665/2013), per la quale è inutilizzabile come prova una registrazione effettuata all’insaputa dell’altro soggetto da uno degli interlocutori che si è, tuttavia, accordato in precedenza con la polizia giudiziaria, perché ciò rappresenterebbe una sorta di aggiramento delle regole previste dal c.p.p. in materia di intercettazioni (sarà necessario almeno un provvedimento di autorizzazione da parte del P.M.).
Le previsioni del DDL
Analizzata la differenza tra i due istituti, si può esaminare e comprendere il nuovo reato previsto dal testo riforma del processo penale.
Viene, infatti, prevista la possibilità di punire con una pena, che può estendersi fino a quattro anni di carcere, chiunque effettui registrazioni vocali o audiovisive svoltesi in propria presenza, ma con esclusivo scopo fraudolento.
I requisiti per l’integrazione del nuovo reato sono essenzialmente due: la presenza diretta di chi effettua la registrazione (dunque la regola non vale per le intercettazioni) e lo scopo fraudolento della registrazione stessa: è, infatti, richiesto che il fine ultimo della registrazione sia la volontà di danneggiare la reputazione o l’immagine del soggetto registrato.
Si parla, dunque, di un dolo specifico abbastanza difficile da integrare, soprattutto alla luce delle due ipotesi che ne escludono completamente la punibilità.
Infatti, non sarà infatti punibile, in primo luogo, chi, pur integrando tale tipo di reato utilizza le registrazioni nell’ambito di un processo amministrativo o giudiziario, esercitando dunque il diritto di difesa. Né sarà punibile chi effettua una registrazione esercitando il diritto di cronaca: sul punto vi è stata anche una recente decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha ribadito che una registrazione occulta svolta da un giornalista, quale espressione del diritto di cronaca, prevale sul diritto alla riservatezza del malcapitato ogniqualvolta la notizia sia d’interesse pubblico.
Dott. Luigi Dinella