Negli ultimi giorni avrete sicuramente sentito parlare delle numerose polemiche derivate dalla vendita dei biglietti per la tappa milanese del tour dei Coldplay.

A destare sconcerto sono state le modalità di vendita dei titoli d’ingresso, le quali hanno determinato l’esaurimento degli stessi dopo soli venti minuti dalla vendita on line nel sito ticketone.it (unico rivenditore autorizzato in Italia), lasciando a mani vuote migliaia di fan.

Questa repentina vendita ha fatto destare i primi dubbi in merito alle pratiche di acquisto adottate, specie in considerazione del fatto che già dopo pochi minuti dalla prevendita, gli stessi biglietti erano disponibili per l’acquisto attraverso siti web di “secondary ticketing” ovvero  una sorta di evoluzione dei vecchi bagarini.

In molti vi sarete chiesti se la pratica di acquisto e successiva rivendita dei titoli d’ingresso attraverso canali secondari a prezzi maggiorati sia o meno lecita e se vi siano conseguenze sotto il profilo legale. Nei paragrafi che seguono cercherò di fornire un quadro semplice e chiaro di tale fenomeno.

Bagarinaggio 2.0 attività lecita o no?

Quante volte negli ultimi giorni avete sentito nominare la parola “secondary ticketing”? Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta.

È una pratica che molti hanno definito come l’evoluzione informatica del più classico “bagarinaggio”, che consiste nell’acquistare titoli di ingresso per concerti e manifestazioni dai rivenditori autorizzati, per poi rivenderli attraverso piattaforme on line a prezzi di gran lunga superiori. Il guadagno sta proprio nella differenza tra il prezzo di acquisto e quello di rivendita.

Tale attività, a prima vista non sembrerebbe integrare i presupposti di alcun tipo di illecito. Tuttavia bisogna prestare particolare attenzione al soggetto che la pone in essere: infatti un conto è il  singolo utente che acquista qualche biglietto in più e lo rivende per recuperare il costo sostenuto per l’acquisto, un altro conto sono invece le società che impiegano tale sistema per svolgere vera e propria attività di natura commerciale, con il rischio di alterare quindi le condizioni del mercato a danno degli consumatori finali.

Infatti, mentre il singolo utente di per sé non è in grado di condizionare i prezzi di vendita dei titoli d’ingresso offerti al pubblico (data la limitata capacità d’acquisto), le società che comprano migliaia di biglietti si. Queste agiscono mediante l’impiego di appositi software denominati “bot” , si tratta di  robot, che si trovano sul web a cifre relativamente basse (si parte infatti da soli 950 dollari) e che una volta configurati sono in grado di eseguire operazioni di acquisto su un numero prestabilito di titoli in una determinata fascia oraria. Tali software riescono ad aggirare il sistema di sicurezza previsto dai rivenditori ufficiali, eludendo i captcha attraverso il collegamento a dei server proxy che generano degli indirizzi IP multipli (Ticketone ad esempio pone solitamente un limite numerico di acquisto per ogni indirizzo ip. In questo modo al sistema figurano tanti singoli acquisti di più utenti, mentre in realtà è uno solo.

A questo punto le società si rivolgono a delle piattaforme di marketplace nelle quali rivendono i biglietti ad un prezzo che arriva ad essere di gran lunga superiore a quello dell’acquisto originario e mettendo così gli utenti nella condizione di dover sostenere spese elevatissime pur di ottenere il titolo d’ingresso.

Cosa prevede Ticketone

Il principale sito web per la rivendita autorizzata di titoli di ingresso per eventi, nelle Condizioni Generali di Contratto all’art. 18 “divieti” prevede che “I Titoli di ingresso non possono essere rivenduti a titolo oneroso nell’ambito dello svolgimento professionale di attività commerciale ancorchè non organizzata sotto forma di impresa senza il consenso espresso dell’Organizzatore e comunque nel caso in cui l’organizzatore ne vieti specificamente il trasferimento di titolarità in base a principi di nominatività”.

Ebbene, dalla lettura della clausola contrattuale, parrebbe evidente il divieto posto in capo a soggetti esercenti attività commerciale di acquistare e rivendere i biglietti. Ma facciamo alcune riflessioni: anzitutto, tale divieto ha valore tra le parti (essendo un obbligo contrattuale) il che potrebbe comportare quale unica conseguenza un eventuale rifiuto da parte di Ticketone di accettare l’ordine dal soggetto autore della violazione. In secondo luogo sussiste notevole difficoltà nel provare che il soggetto autore della violazione abbia agito nell’ambito dello svolgimento professionale di un’attività commerciale.

Fatte queste precisazioni dunque, emerge chiaramente che dal punto di vista contrattuale non risultino esserci particolari conseguenze per gli autori delle violazioni, posto che il divieto può peraltro essere agevolmente aggirato mediante la registrazione dell’utente con un altro nominativo.

Cosa prevede la legge e la giurisprudenza

Abbiamo visto nel paragrafo precedente come non vi siano particolari conseguenze per la violazione del divieto contrattuale di rivendita di titoli di ingresso a titolo oneroso per chi agisce come “bagarino”. Ma la legge invece, cosa prevede?

Ebbene in Italia, ad oggi, non vi è una norma che sanziona la pratica del “secondary ticket”, ma solo una importante (ed unica per ora) sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 2008 (Cass. civ. Sez. II, 30-04-2008, n. 10881).

Il caso traeva origine dall’applicazione della sanzione nei confronti di un soggetto per “la violazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 115, (Tulps) per attività di vendita di biglietti di ingresso ad una manifestazione, costituendo tale attività un’operazione riconducibile all’apertura di un’agenzia d’affari in assenza della prescritta licenza”.

I giudici del Palazzaccio, ribaldando le sentenze di merito, hanno stabilito che per attività di bagarinaggio si deve intendere: “la rivendita, nel proprio esclusivo interesse ed al fine di lucrare un prezzo maggiore di quello di acquisto, di biglietti per la partecipazione a spettacoli e manifestazioni in genere”.

Ma gli ermellini non si sono limitati a definire l’attività di bagarinaggio, ma hanno aggiunto che “Ciò posto e pur prescindendo dai (controversi in giurisprudenza) elementi dell’abitualità (peraltro non provata) e della sussistenza di una, sia pur minima, organizzazione dei mezzi (vedi Cass. 2001 n. 6935), decisiva ad escludere la riconducibilità della fattispecie alle norme di riferimento (art. 115 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza citato, in relazione all’art. 211, reg. PS) è la considerazione dell’assenza dell’attività di intermediazione che caratterizza l’agenzia e nell’ambito della quale la vendita viene operata per conto altrui, sia pure anche nell’interesse dell’operatore. (cfr. Cass. 31.5.07 n. 12826).

Le stesse pronunce della cassazione penale, del resto, tra le quali quella citata nella motivazione della sentenza, evidenziano il requisito dell’altruità degli affari trattati. Chi acquista e poi rivende a proprio rischio non compie alcuna attività di intermediazione, neppure atipica.”

Da ciò ne deriva che ai fini della sanzionabilità della condotta, sarebbe quanto meno necessario riuscire a dimostrare che i titoli di ingresso sono stati acquistati con l’impiego di software tickets bot, o che sono stati falsificati, dovendo in entrambi i casi fornire le prove.

Ad ogni buon conto, preme ricordare che la condotta verrebbe sanzionata solo ai fini dell’esercizio dell’attività di vendita di biglietti senza la necessaria licenza e non come attività di per sè illecita, non essendoci, come detto sopra, una norma ad hoc nel nostro ordinamento.

Conclusioni

Da quanto detto è evidente come non vi siano ad oggi strumenti idonei a contrastare il fenomeno del “bagarinaggio 2.0″, tuttavia negli ultimi giorni alcuni cambiamenti si stanno notando.

Infatti il Codacons ha presentato presso la procura della Repubblica di Milano un esposto “affinché vengano appurate eventuali ipotesi di reato e vengano duramente sanzionati tali soprusi”, mentre l’associazione Altroconsumo ha effettuato una segnalazione all’Antitrust per pratica commerciale scorretta.

Prese di posizione in tal senso, ci sono state anche da parte della Siae, la quale ha presentato un ricorso d’urgenza al Tribunale Civile “per tutelare sia i diritti dei propri associati che i consumatori (soprattutto i più giovani), che si ritrovano a pagare anche fino a 10 volte in più i ticket di ingresso sul mercato parallelo”.

Non ci resta quindi che attendere il responso degli organi interpellati, sperando che nel frattempo il legislatore si prenda carico del problema, per evitare che a rimetterci sia sempre il consumatore.

 Dott. Giuseppe Laganà

 

 

 

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