Il nome di dominio (detto anche nome a dominio o domain name o host name) è l’indirizzo di un sito in formato alfabetico (ad esempio, www.parlamento.it), dunque potenzialmente assai semplice da ricordare, al contrario dell’indirizzo IP (IP Address), che è espresso in forma numerica.
Un altro computer presente su Internet (il c.d. Domain Name Server, DNS) permette di risalire, in maniera trasparente per l’utente, da un nome a dominio ad un indirizzo IP e viceversa.
È di tutta evidenza che assicurarsi un buon domain name, facile da memorizzare, aumenta il numero di connessioni al proprio sito, soprattutto per chi non sa districarsi bene all’interno della Rete. I problemi giuridici sorgono nella registrazione di un nome di dominio coincidente con un marchio, soprattutto se celebre[1], perché sinora il principio base della registrazione di un host name è consistito nella tempestività della registrazione, risultando di proprietà di chi per primo lo ha registrato (first come, first served). Ciò ha portato solo pochi anni fa ad un acquisto selvaggio dei nomi di dominio più semplici da ricordare, perché costituiti da parole di uso comune o da marchi celebri, al fine di rivenderne in un secondo tempo la proprietà ai soggetti interessati e ad un prezzo assai più elevato di quanto corrisposto per la registrazione (c.d. cybersquatting o domain grabbing). Nel secondo caso ciò costituisce una sorta di ricatto per le aziende, che per avere una efficace presenza on line sono costrette a dover acquistare il nome di dominio corrispondente al proprio marchio a prezzi anche assai elevati.
In assenza di una specifica disciplina legislativa in subiecta materia, dottrina e giurisprudenza concordano nell’equiparare il mondo virtuale a quello fisico, applicando la regola per cui il titolare dei diritti di uso esclusivo del segno tipico può inibire a terzi l’uso di quest’ultimo come nome di dominio[2]. In particolare, la giurisprudenza ritiene che la registrazione di un domain name che riproduce o contiene il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio[3]. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio. In dottrina si afferma che “la funzione principale di un nome a dominio contenente un marchio denominativo è di consentire l’individuazione dell’offerta commerciale contenuta nel sito. Da ciò deriva che la confondibilità prevista dall’ordinamento italiano in tema di marchi deve essere valutata in modo concreto nei diversi casi specifici, dato che, in base al funzionamento di Internet, non possono esistere due domain name uguali, mentre nella legge marchi è prevista la possibilità di avere due segni distintivi identici, almeno in alcuni casi (settore merceologico differente o ambito territoriale diverso). Il risultato è che l’esclusiva che deriva ad un titolare di un marchio deve essere considerata con particolare attenzione nei giudizi riguardanti i nomi a dominio”[4].
Il riferimento alla confondibilità è stato però correttamente ricostruito in dottrina con precipuo riferimento alle caratteristiche essenziali della rete Internet. Difatti, il navigatore che già conosce un segno distintivo e lo digita nella barra degli indirizzi del browser, al fine di raggiungere il titolare del segno medesimo, “è normalmente consapevole dei limiti territoriali e merceologici della protezione di quel segno e quindi della possibilità che anche altri soggetti si avvalgano sulla rete del medesimo segno in relazione ad attività o a territori diversi. Il navigatore, in altri termini, si trova nella stessa condizione di chi, conoscendo soltanto la denominazione sociale del soggetto con il quale intende mettersi in contatto telefonicamente, sa bene che nell’elenco alfabetico della guida telefonica può trovare anche altri soggetti, operanti in settori diversi, che hanno la medesima denominazione”, per cui l’eventuale errore del navigatore rileva (o dovrebbe rilevare) sotto il profilo del pericolo di confusione solo se il contenuto del sito stesso (e in primo luogo della home page) può indurre a ritenere di trovarsi effettivamente nel sito del titolare del segno considerato[5].
Nel caso specifico dei marchi celebri, “il giudizio di “affinità” di un prodotto rispetto ad un altro coperto da un marchio notorio o rinomato deve essere formulato […] secondo un criterio più largo di quello adoperato per i marchi comuni. In relazione ai marchi cosiddetti “celebri”, infatti, deve accogliersi una nozione più ampia di “affinità”, la quale tenga conto del pericolo di confusione in cui il consumatore medio può cadere attribuendo al titolare del marchio celebre la fabbricazione anche di altri prodotti non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non caratterizzati di per sè da alta specializzazione.”[6] L’art. 1 comma 2 legge marchi prevede che il titolare del marchio ha il diritto di vietare a terzi l’utilizzo di un segno identico o simile anche per prodotti o servizi non affini, qualora l’uso del segno consenta di trarre senza giusto motivo un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio qualora possa recare un pregiudizio al legittimo titolare.
Il riconoscimento di tale forma di tutela richiede però lo svolgimento di un giudizio di accertamento sulla notorietà e celebrità del marchio, che viene necessariamente rimesso alla discrezionalità dell’interprete. Ne consegue, pertanto, che un marchio ritenuto celebre da un Tribunale, al punto da inibirne l’uso come «nome a dominio» utilizzato da soggetti che su tale denominazione non possono vantare alcun diritto, possa essere ritenuto, da altro Tribunale, non dotato di quella particolare forza evocativa che i segni notori posseggono, con l’effetto di considerare legittima la sua utilizzazione come domain name da parte di terzi[7].
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NOTE
[1] Il marchio può consistere tanto in un emblema (c.d. marchio emblematico), quanto in una denominazione o in un segno, purché presenti carattere distintivo (A. Fiale, Diritto commerciale, Napoli, 2002, p. 109). Esso è tradizionalmente considerato il segno distintivo più importante, in quanto contraddistingue prodotti e servizi, e consente le scelte di mercato mediante la differenziazione e la individuazione dei prodotti. Pertanto, esso è, al contempo, strumento di comunicazione, informazione e concorrenza (G. Sena, Marchio di impresa (natura e funzione) (voce), in Dig. disc. priv., sez. comm., IX, Torino, 1993, p. 292).
[2] La produzione dottrinale in materia è oramai assai ampia; oltre ai testi citati, cfr. anche: A. Antonini, La tutela giuridica del nome di dominio, in Dir. inf., 2001, 6, pp. 813-825; E. Bassoli, Domain grabbing e tutela inibitoria, in Dir. inf., 2001, 3, pp. 522-528; G. Cassano, Cybersquatting, in Dir. inf., 2001, 1, pp. 83-94; G. Cassano, In tema di domain name, in Dir. inf., 2000, 3, pp. 494-499; G. Cassano, Una «giurisprudenza toscana» sui nomi a dominio?, in Dir. inf., 2001, 3, pp. 511-520; C. Galli, I domain names nella giurisprudenza, Milano, 2001; N. Gatta, Problemi in tema di domain names: le ipotesi di regolamentazione comunitaria, in A. Antonucci (a cura di), E-commerce. La direttiva 200/31/CE e il quadro normativo della rete, Milano, 2001, pp. 377-404; A. Improda, Segni distintivi e domain names: un rapporto conflittuale, in Dir inf., 2000, 2, pp. 366-370; A. Palazzolo – E. M. Tripodi, Privative industriali, nomi di dominio, concorrenza, pubblicità on line, in E. M. Tripodi – F. Sanntoro – S. Missineo, Manuale di commercio elettronico, Milano, 2000, pp. 321-373; P. Sammarco, Assegnazione dei nomi a dominio su Internet, interferenze con il marchio, domain grabbing e responsabilità del provider, in Dir. inf., 2000, 1, pp. 67-83; P. Sammarco, Competenza territoriale in materia di illecita utilizzazione di nome a dominio, in Dir. inf., 2001, 2, pp. 236-242; P. Sammarco, Il giudizio di confondibilità applicato ai nomi a dominio con particolare riferimento alla testata di giornale, in Dir. inf., 2001, 1, pp. 45-50; Sammarco P., La riconducibilità a nome a dominio di marchi complessi e la loro tutela, in Dir. inf., 2001, 4-5, pp. 736-742; T. Sogari, Domain name: quale tutela?, in AA. VV., Proprietà intellettuale e cyberspazio, Atti del Congresso internazionale, Stresa 4-5 maggio 2001, Milano, 2002, pp. 169-177; G. Tarizzo, L’applicabilità della disciplina sui marchi ai nomi di dominio: certezze e dubbi, in Dir. inf., 2000, 3, pp. 500-507; G. Ziccardi – P. Vitiello, La tutela giuridica del nome di dominio, Modena, 2000.
[3] Così Trib. Roma 2 agosto 1997, in Foro it., 1998, I, c. 923; Pret. Valdagno 27 maggio 1998, in Giur. it., 1998, c. 1875; Trib. Verona 25 maggio 1999, in Foro it., 1999, I, c. 3061.
[4] N. Lasorsa, Domain name, in G. Vaciago (a cura di), Internet e responsabilità giuridiche. Lineamenti, materiali e formulari in tema di diritto d’autore, nomi a dominio, Pubblica Amministrazione, privacy, reati informatici, Piacenza, 2002, p. 119.
[5] C. Galli, op. cit., p. 40.
[6] Cass. 20 dicembre 1999, n. 14315.
[7] Così P. Sammarco, Il regime giuridico dei “nomi a dominio”, Milano, 2002, p. 83. Il riferimento dell’autore è al c.d. caso Miss Italia.