Il consumatore che acquista online ha, in linea generale, il diritto di recedere dal contratto entro 10 giorni lavorativi, decorrenti dalla data di ricevimento dei beni, senza alcuna penalità e senza doverne specificare i motivi. Deve tuttavia pagare le spese dirette di restituzione del bene al mittente qualora, all’atto dell’esercizio del diritto di recesso, la consegna del bene fosse già avvenuta. Il venditore, a sua volta, ha l’obbligo di rimborsare le somme già versate dall’acquirente, gratuitamente e nel minor tempo possibile. Il venditore, però, è tenuto a rimborsare al consumatore anche le spese di spedizione originariamente sostenute? In argomento, assume importanza una recente sentenza resa dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea nella causa C-511/08, decisa il 15 aprile 2010. La Corte ha infatti emesso una pronuncia interpretativa delle norme relative ai contratti a distanza, ed in particolare della Direttiva n. 97/7/CE, alla quale è stata data attuazione, nel nostro ordinamento, con d. lgs. n. 185/1999, poi sostituito dal d. lgs. n. 206/2005 (c.d. “Codice del Consumo“).
In questo articolo esamineremo, dunque, la normativa vigente che regolamenta il diritto di recesso nei contratti online conclusi fra un consumatore e un professionista, focalizzando la nostra attenzione sulle modalità e i costi relativi alla restituzione della merce (spese di spedizione incluse), alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia: la legge è veramente a tutela del consumatore?
La Direttiva comunitaria n. 97/7/CE, riguardante la tutela dei consumatori in materia di contratti a distanza, oltre a fornire una precisa definizione normativa di talune figure, quali “consumatore” e “vendita a distanza”, introduce l’obbligo di informativa scritta (o “su supporto duraturo”) al consumatore, con la quale siano chiaramente esplicitate le condizioni cui, con la sottoscrizione del contratto, il consumatore espressamente si obbliga, oltre che i diritti che il venditore è tenuto a garantirgli. Fra essi, il diritto di recesso assume sicuramente grande importanza.
Con la sentenza resa nel procedimento C-511/08 (concernente la tutela dei consumatori e il diritto di recesso nei contratti conclusi a distanza) la Corte di giustizia ha precisato che il venditore a distanza non può trattenere le spese sostenute per la consegna della merce e, per tale motivo, il consumatore che esercita il diritto di recesso ha diritto al rimborso integrale del prezzo pagato, rimanendo a proprio carico solo le spese di restituzione della merce al venditore.
Più precisamente, la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 6, n. 1, primo comma, seconda frase, e n. 2, della Direttiva comunitaria n. 97/7/CE, “osta ad una normativa nazionale che consente al fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso“.
Nella sentenza, la Corte di Giustizia ha chiarito che nessuna spesa è addebitabile al consumatore, che si trova in posizione di debolezza rispetto al professionista, non avendo visionato la merce prima di acquistarla. Proprio per questo motivo, detti oneri non possono essergli addebitati e, in caso di recesso, dovranno essergli rimborsati integralmente.
La logica secondo cui sono ripartiti i costi della mancata transazione a distanza (spese di consegna al venditore e spese di restituzione all’acquirente recedente), rappresenta, secondo la Corte, un buon equilibrio logico-giuridico, nonché economico. Infatti, come al consumatore saranno accollate le conseguenze pecuniarie della sua scelta di recesso, così al venditore saranno addebitate le spese di consegna per la sua scelta di conservazione e gestione delle merci: l’addebito delle spese di consegna, infatti, è controbilanciato dai risparmi che il venditore realizza, non dovendo gestire magazzini e negozi o altri locali commerciali. La tutela del consumatore, così, prevale su quella dell’azienda online (parte venditrice).
Spese di consegna, rimborso e restituzione dei beni acquistati online: la normativa italiana
Nel nostro ordinamento, il diritto di recesso dai contratti a distanza è espressamente disciplinato dall’art. 64 del Codice del Consumo e si esercita mediante l’invio, entro i termini previsti dal comma 1 dello stesso articolo (10 giorni lavorativi, salvo quanto stabilito dall’articolo 65, commi 3, 4 e 5), di una comunicazione scritta, da inviarsi alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La comunicazione può essere inviata, entro lo stesso termine, anche mediante telegramma, telex, posta elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le quarantotto ore successive. Se espressamente previsto nell’offerta o nell’informazione concernente il diritto di recesso, in luogo di una specifica comunicazione è sufficiente la restituzione, entro il termine di cui all’art. 64, comma 1, della merce ricevuta.
Quanto agli effetti del recesso, l’art. 66 del Codice del Consumo precisa che “con la ricezione da parte del professionista della comunicazione di cui all’articolo 64, le parti sono sciolte dalle rispettive obbligazioni derivanti dal contratto o dalla proposta contrattuale, fatte salve, nell’ipotesi in cui le obbligazioni stesse siano state nel frattempo in tutto o in parte eseguite, le ulteriori obbligazioni di cui all’articolo 67“. Quest’ultimo, al comma 1, contempla l’ipotesi in cui, al momento dell’esercizio del diritto del recesso, sia già avvenuta la consegna del bene, imponendo in tal caso al consumatore di restituire il bene o di metterlo comunque a disposizione del venditore, secondo le modalità e i tempi previsti dal contratto. Il termine per la restituzione del bene non può comunque essere inferiore a 10 giorni lavorativi, decorrenti dalla data del ricevimento del bene. Ai fini della scadenza del termine, la merce si intende restituita nel momento in cui viene consegnata all’ufficio postale accettante o allo spedizioniere.
Il comma 3 dell’art. 67 chiarisce quali sono le spese dovute dal consumatore per l’esercizio del diritto di recesso, individuandole nelle “spese dirette di restituzione del bene al mittente“, ove la restituzione sia espressamente prevista dal contratto.
Il comma 4 individua, invece, le somme che il venditore è tenuto a rimborsare al consumatore recedente, stabilendo che: “Se il diritto di recesso è esercitato dal consumatore conformemente alle disposizioni della presente sezione, il professionista è tenuto al rimborso delle somme versate dal consumatore, ivi comprese le somme versate a titolo di caparra. Il rimborso deve avvenire gratuitamente, nel minor tempo possibile e in ogni caso entro trenta giorni dalla data in cui il professionista è venuto a conoscenza dell’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore. Le somme si intendono rimborsate nei termini qualora vengano effettivamente restituite, spedite o riaccreditate con valuta non posteriore alla scadenza del termine precedentemente indicato“.
In ogni caso, e salvo che il fatto costituisca reato, il professionista che non fornisce l’informazione al consumatore o ostacola l’esercizio del diritto di recesso, ovvero fornisce informazione incompleta o errata o comunque non conforme sul diritto di recesso da parte del consumatore secondo le modalità di cui agli artt. 64 e ss., Codice del consumo, ovvero non rimborsa al consumatore le somme da questi eventualmente pagate, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 516 a Euro 5165, come espressamente previsto dall’art. 62, comma 1, Codice del consumo.
Inoltre, il comma 2 dell’art. 62, Codice del consumo, precisa che, nei casi di particolare gravità o di recidiva (che si verifica qualora la stessa violazione sia stata commessa per due volte in un anno), i limiti minimo e massimo della sanzione indicata al comma 1 sono raddoppiati.
Le suddette sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 (c.d. legge di depenalizzazione). All’accertamento delle violazioni provvedono, d’ufficio o su denunzia, gli Organi di Polizia Amministrativa.
Conclusioni su diritto di recesso e pagamento delle spese di spedizione
In definitiva, secondo quanto previsto dall’art. 67, comma 3, del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), e alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia summenzionata, laddove un venditore addebiti al consumatore un costo per la consegna dei beni relativamente ai quali lo stesso consumatore ha esercitato il diritto di recesso, il venditore commette una violazione di legge e la relativa clausola contrattuale potrà essere annullata. In altri termini, il consumatore-acquirente avrà diritto di ottenere la somma corrisposta al venditore a titolo di spese di spedizione; successivamente all’esercizio del diritto di recesso, il consumatore dovrà comunque sostenere le spese per rispedire il bene al venditore. La legge, pertanto, sembra assicurare una forte tutela ai consumatori, sotto questo punto di vista.